Se facessimo un’indagine tra amici, parenti e conoscenti, probabilmente uno degli argomenti più ricorrenti nelle conversazioni di questi ultimi tempi, indipendentemente da età, occupazione o interessi coltivati dagli interlocutori, sarebbe lei: “La Pensione”, bella e irraggiungibile! “Quando sarà il mio turno per andare in pensione?”, “Andrò mai in pensione?” e soprattutto, per chi è ancora molto lontano dalla meta, “Cosa posso fare per sistemare la mia posizione pensionistica?”
È innegabile la confusione che regna in materia e il legislatore, di recente, ha contribuito ancora di più ad accrescerla. La normativa previdenziale entrata in vigore negli ultimi anni ha pian piano provocato una stratificazione di leggi, circolari interpretative, norme di salvaguardia e opzioni che si sono sovrapposte di volta in volta a quelle già esistenti , talvolta modificando e integrando, talaltra abrogando e derogando quelle precedenti, senza mai avere una visione di insieme o seguire un criterio sistematico; di conseguenza, si sono determinati nel tempo casi, opzioni ed eccezioni sempre diverse, che ricordarle tutte è diventato un vero e proprio rompicapo.
In mezzo a tanta confusione, potrebbe essere utile – ed è l’obiettivo di questo e dei prossimi articoli che pubblicheremo chiarire, o meglio ancora attribuire il giusto significato a parole spesso utilizzate impropriamente, per non dire a vanvera, e provare ad orientarsi in questa materia.
Prima della tanto discussa Riforma Fornero (2011), il disagio e l’incertezza erano meno percepite. Più o meno tutti sapevano che, per andare in pensione, nella maggior parte dei casi occorrevano specifici requisiti per accedere alla pensione di vecchiaia (almeno 20 anni di contributi versati e 65 anni per gli uomini o 60 per le donne nel settore privato), ed altri per la pensione di anzianità (40 anni di contributi senza un’età minima), bastava comunque lavorare, versando i contributi per un tot di anni, e raggiungere l’età prevista per ottenere una pensione.
Dopo la Riforma Fornero, anche in virtù del c.d. sistema di adeguamento della speranza di vita che si è progressivamente innalzata , i requisiti pensionistici hanno subito un balzo in avanti, allontanando sempre di più il traguardo verso il raggiungimento dell’agognata pensione.
Dal 2011, infatti, si sono susseguiti numerosi interventi legislativi improntati all’introduzione o riformulazione di strumenti, vecchi e nuovi, che consentissero di ovviare a quelle situazioni in cui chi avrebbe avuto possibilità di andare in pensione, con il biglietto già in tasca di un volo aereo di solo andata, si è visto sfuggire tale possibilità sotto il naso. Si è iniziato a sentir parlare di tutto un simpatico alveare composto di Ape, Ape sociale, Ape aziendale e Rita, acronimi che denotano, se non altro, uno sforzo simpatico di fantasia nella scelta degli stessi per distinguere i vari istituti. Ora, nel 2019, è il tempo della “Quota 100”.
Cos’è cambiato con la Riforma in questione? Innanzitutto, si è resa indispensabile una programmazione ed una valutazione della propria posizione previdenziale fin dall’inizio della nostra attività lavorativa, perché mentre i nostri nonni nella maggior parte dei casi, andavano in pensione avendo lavorato tutta la vita per uno stesso datore di lavoro, oggi questa sarebbe un’utopia: non solo si cambia datore di lavoro sempre più spesso, ma saltelliamo anche da una gestione previdenziale all’altra, senza neanche saperlo.
Le gestioni previdenziali dobbiamo immaginarle come una serie di “cassetti” dove si vanno ad accumulare i contributi che noi (se lavoratori autonomi), o il nostro datore di lavoro o committente per noi (se subordinati o parasubordinati), versiamo. Di conseguenza, un cambio continuo di gestione comporta il rischio di ritrovarsi con una bella cassettiera, piena di anni contributivi spaiati o distribuiti in cassetti diversi, senza che in nessuno di questi si raccolgano però quelli necessari a concederci autonomamente la possibilità di andare in pensione. Per fortuna, oggi esistono alcuni strumenti che consentono, alle diverse gestioni previdenziali, di interagire tra di loro e di puntare a rendere più omogenea possibile la nostra storia contributiva, altrimenti eterogenea e improduttiva.
Tre sono gli strumenti principali che potrebbero consentirci di raggiungere il diritto alla pensione: ricongiunzione, totalizzazione e cumulo gratuito. In questa prima parte, ci occuperemo della ricongiunzione, alle altre ci dedicheremo il mese prossimo.
La ricongiunzione, da molti considerato solo uno strumento dispendioso, in taluni casi non comporta oneri a carico del richiedente e consente di trasferire effettivamente dei periodi di contribuzione da una gestione all’altra unendo, per rimanere nella metafora, due cassetti in uno. Ad esempio, un soggetto che per un po’ di anni ha lavorato in un’azienda privata, versando i suoi contributi nell’assicurazione generale ordinaria (AGO), se a un certo punto della sua vita lavorativa avesse la fortuna (o sfortuna dipende dai punti di vista) di partecipare ad un concorso pubblico e magari anche di vincerlo, si ritroverebbe ad avere contributi in due gestioni diverse: l’AGO e la gestione previdenziale pubblica.
In questo caso, se non avesse maturato requisito autonomo alla pensione in una delle due gestioni, potrebbe fare richiesta di ricongiunzione che, nello specifico, equivarrebbe al trasferimento dei contributi dalla gestione AGO alla gestione previdenziale pubblica. Si tratterebbe, dunque, di un mero spostamento e la pensione verrebbe calcolata interamente seguendo le regole della gestione finale di erogazione, in questo caso, di quella pubblica.
Quanto alla totalizzazione, al cumulo e alle altre amenità, rimandiamo alla prossima puntata.
Stay tuned!
—
Credits:
Photo by rawpixel.com from Pexels